Mancano pochi giorni all’importante appuntamento fissato per sabato 29 ottobre all’Auditorium Fraternità di Tortolì (via Papa Giovanni Paolo II). Nella sede della Caritas diocesana si svolgerà il XII Convegno regionale delle Caritas parrocchiali. Ne parliamo con Monsignor Giovanni Paolo Zedda, vescovo emerito di Iglesias con incarico della Conferenza episcopale sarda per il Servizio della Carità. In questa intervista rilasciata in esclusiva spazia dalle nuove povertà alle risposte che tutti sono chiamati a dare in un periodo storico tra i più difficili e complessi degli ultimi decenni.
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“Guidati dal Vangelo, insieme agli ultimi con creatività” è il tema dell’appuntamento di Tortolì. La Caritas si rifà alle recenti indicazioni di Papa Francesco. Qual è la creatività che, secondo lei, è necessario mostrare di questi tempi?
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«La Chiesa suggerisce ai cristiani di avere l’atteggiamento giusto nei confronti dei poveri. Non si tratta di proporre progetti particolarmente elaborati, studiati a tavolino, piuttosto bisogna mettersi in cammino guardando alle situazioni di povertà che si manifestano attorno a noi. Come ha detto il Papa in un suo messaggio, dobbiamo guardare negli occhi i poveri e trovare il modo di essere presenti nella loro realtà».
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Lei ha attraversato diverse generazioni. Ha la sensazione che la gente si stia rinchiudendo sempre di più in se stessa, nel proprio guscio familiare, perdendo allo stesso tempo una buona dose di sensibilità verso il prossimo?
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«Non spetta a noi giudicare. Il Signore non ci chiede mai di guardare agli altri e fare una statistica degli atteggiamenti nella loro vita sociale. Ci sono atteggiamenti che non sono corretti secondo il Vangelo ma ci sono anche validi esempi di come noi dobbiamo comportarci, e ai quali dobbiamo ispirarci. In verità è un aspetto che non riguarda soltanto i cristiani, in quanto la realtà che viviamo tutti i giorni interessa tutta l’umanità. Certo, innanzi tutto vengono interrogati i credenti, nella misura in cui dobbiamo dare grande attenzione all’esempio di Gesù. Ma è qualcosa che investe tutti gli uomini perché siamo davvero tutti figli di Dio. E a tutti Dio dà la possibilità di capire come dobbiamo metterci nei confronti degli altri, cioè con fraternità e solidarietà».
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Gli ultimi anni, tra pandemia e speculazioni legate alla guerra in Ucraina, si stanno rivelando devastanti per la popolazione italiana e le nostre imprese. Crescono i nuovi poveri e si rischia il collasso sociale. Cosa può fare di nuovo la Chiesa sarda?
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«Dobbiamo tenere conto di queste situazioni concrete che la nostra realtà sociale ci propone. Non dobbiamo chiuderci in un atteggiamento di difesa, piuttosto bisogna aprirsi a un atteggiamento di carità concreta nei confronti di tutti quelli che hanno bisogno. Non esistono risposte prefabbricate, è tutto affidato alle risposte che dobbiamo avere verso gli ultimi e verso le loro storie che la vita ci propone».
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Monsignor Zedda, lei è vescovo emerito da pochi giorni. Ha guidato un territorio che, non da oggi, mostra difficoltà economiche rilevanti.
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«La proposta che la Chiesa ci fa oggi, soprattutto negli ultimi anni, è quella di cercare di camminare insieme di fronte alla realtà concreta che viviamo. Giorno dopo giorno, con questa attenzione nei confronti degli ultimi come ci insegna il Vangelo, dobbiamo trovare le modalità più giuste per dare testimonianza di ciò che Dio desidera da tutta l’umanità. Ogni Chiesa è in una situazione speciale, ogni realtà è diversa e ha le sue caratteristiche. Ma tutti siamo chiamati a mostrare un’attenzione concreta verso i fratelli e le sorelle che soffrono».
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A Tortolì lei parlerà del tema “Gesù Cristo si è fatto povero per voi”. Ci può annunciare, in estrema sintesi, quali punti andrà a toccare?
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«Questo è il titolo che il Papa ha voluto dare alla Giornata dei poveri, che sarà celebrata domenica 13 novembre. È la sesta edizione, e ogni anno come delegazione regionale Caritas cerchiamo di analizzare a fondo il tema prescelto. Quello del 2022 prende spunto da una frase di San Paolo in una lettera ai Corinzi: ci indica che il punto di riferimento per noi non può che essere l’atteggiamento di Gesù Cristo, che ha dato tutto se stesso per mettersi al servizio dell’umanità. Si è fatto povero per arricchirci, non di soldi ma della parola di Dio. È la vera ricchezza che dobbiamo cercare tutti, e coincide con uno specifico atteggiamento: mettersi al servizio degli altri. In particolare di chi è più povero».
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Ora che è diventato vescovo emerito, che cosa cambierà per lei?
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«Non so ancora che cosa mi chiederà di fare la Conferenza episcopale sarda. Ma non è questo il problema. Continuo a essere vescovo, dunque unito a tutta la Chiesa. Non avrò più la responsabilità diretta di una diocesi, e questo forse mi alleggerirà il peso, ma senz’altro non mi toglierà la responsabilità di essere annunciatore del Vangelo, giorno per giorno. I problemi sociali non mancano di certo: c’è una pandemia che non è stata ancora superata del tutto, c’è il tema della pace legato al problema della guerra in Ucraina, che sta sconvolgendo tutti gli equilibri a livello mondiale. Tutto ciò entra nella Storia concreta che dobbiamo cercare di vivere in modo saggio. È una sfida molto grande ma è la sfida della Vita. Niente di diverso».
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Credits: foto Efisio Vacca
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